Molti modi per dire “carpione” nelle cucine del mondo

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Una precisazione etimologica è necessaria per motivare la diffusione di questa preparazione. Lo storico Franco Cardini pone all’origine il termine castigliano escabeche, a sua volta proveniente dal persiano sikbaj. Sembra però che la tradizione culinaria araba non abbia recepito questo termine, mentre grande fortuna ha avuto negli idiomi della penisola iberica (escabeche) e italica (scapece).

A questi paesi, e a quelli sotto l’influenza spagnola e portoghese, dobbiamo guardare per rintracciare i piatti “in agro”, il cui comune denominatore, a parte l’aceto e i variabili aromi aggiunti (aglio, cipolla, salvia, rosmarino, mentuccia, zafferano…), è la frittura dell’alimento base.

In Liguria c’è lo scabeccio, con piccoli pesci come le acciughe, al Centro-Sud predomina la/lo scapece: da quella molisana (a base di pezzi di pesce) a quella gallipolina, particolare per l’uso del pangrattato e dello zafferano, passando per la scapece di zucchine (Campania), per lo scapece trapanese (con le parti meno pregiate del tonno).

In Sardegna, sia per il pesce sia per le olive, si fa su scabecciu, mentre a Orbetello lo scaveccio prevede l’anguilla a tranci. In Piemonte e in Veneto le parole cambiano: da un lato il carpione, dall’altro il saor, buono per marinare le sarde ma anche alcuni ortaggi.

Nella cucina spagnola e portoghese è abituale trovare piatti “escabechados”: cozze, sardine, tonno, baccalà fino ad alcune carni bianche, come il pollo e le quaglie. Anche la Francia ne è toccata, con le provenzali sardine (o sgombri) en escabèche. Gli escabeche sono diffusissimi in Centro e Sud America: Argentina e Bolivia (con le carni), Perù, Cuba, Giamaica (con il pesce), Cile (con la cipolla fresca).