No, non è la retorica gastro-sentimentale che di solito si accompagna alle narrazioni della cucina popolare e tradizionale. È un dato di fatto: in Piemonte, innamorarsi perdutamente di un’altra persona fino ad esserne travolti, fino a perderci come dicono i napoletani “…’o suonno, e ‘a fantasia”, fino a sentirsi dominati dalla passione “cchiù forte ‘e na catena”, molto più sbrigativamente si dice, o si diceva fino a pochi anni fa: “andé an carpion”(andare in carpione); l’innamoramento assoluto è “essi an carpion” (essere in carpione), e chi ne cade vittima è “beli carpionà”, bell’e carpionato.
L’espressione era registrata nei vocabolari della lingua piemontese, come quello del medico Maurizio Pipino che nel 1783 scriveva: “Carpioné: in senso metaforico ridurre uno perdutamente amoroso”. O ancora, nel 1859 Vittorio di Sant’Albino scriveva nel suo dizionario: “Carpioné in senso metaforico vale innamorare, invaghire qualcuno, renderlo cotto, innamorato”. Posso testimoniare per esperienza diretta che almeno noi ragazzotti di provincia e di campagna ancora tra gli anni ’80 e ’90 del Novecento ci definivamo “an carpion” ad ogni cotta e ad ogni innamoramento.
In principio era shikbaj
Gli scrittori arabi del X secolo ci raccontano che in Persia si era usi conservare la carne cotta mettendola in una salamoia di aceto, sale e spezie chiamata shikbaj. Gli intensi scambi commerciali tra loro le sponde del Mediterraneo fanno sì che dal Medio Oriente lo shikbaj si diffonda rapidamente nell’intera Europa cristiana con preparazioni anche molto diverse tra loro, ma accomunate dal fatto di prevedere sempre la marinatura in salse a base di aceto, aromi e spezie.
L’Italia sembra essere la prima ad adottare il nome, e a elaborare la grande famiglia dello Scapece, facendone una presenza costante sia nelle cucine dei ricchi che in quelle dei ceti popolari. Le prime ricette scritte risalgono alla metà del Trecento. In quegli anni non c’è Paese europeo che non abbia i suoi “scapece”, con i nomi declinati secondo la lingua del luogo: scabeg nelle aree occitane, escabeix in quelle catalane, escabeche in castigliano e in portoghese, escovitch nelle parlate anglosassoni, e via elencando.
Quando il carpione era solo il pesce del lago di Garda
Il Carpione (nome scientifico Salmo carpio) è un bel pesce salmonide che vive nelle acque più profonde del lago di Garda, dove compie il suo intero ciclo vitale senza mai risalirne gli affluenti, e senza avvicinarsene alle rive se non per la deposizione delle uova. È un pesce di buona taglia, da adulto può arrivare al peso di 1,5 kg: ma soprattutto è un pesce dalle carni eccellenti, insieme sode e delicate; bontà che ne ha causato una pesca indiscriminata e portandolo in tempi recenti a serio rischio di estinzione.
Nel Medioevo il pesce Carpione del Garda lo volevano tutti, e a qualsiasi prezzo. Ma come conservarlo? Gli astuti gardesani inventarono un metodo di conservazione straordinariamente efficace, che tra XV e XVI secolo alimentò una fiorente industria alimentare sulle rive del lago. Il pesce appena pescato veniva sventrato ma non squamato, ricoperto per due ore con sale grosso, quindi ripulito e fritto in olio abbondante.
Sgocciolato e raffreddato, veniva fatto bollire per dieci minuti in una caldaia contenente aceto bianco e sale. Di nuovo asciugato e raffreddato, veniva infine sistemato in cestini di legno, alternato a foglie d’alloro e di mortella. In questo modo si poteva conservare per oltre un mese.
“Per accarpionare ogni sorta di pesce”
Causa la scarsità del Carpione del Garda si usano anche un gran numero di altri pesci più comuni e facilmente reperibili. Già nel 1450 Maestro Martino da Como spiega come “Carpionar trutte al modo di Carpioni”e la tecnica si estese a un gran numero di pesci d’acqua dolce e di mare.
Nel carpionà piemontese entrano le verdure
L’inserimento delle verdure nelle Carpionà piemontese nasce dal basso, e in modo spontaneo, ad opera delle classi popolari e contadine come succedaneo autarchico ed economico dei pesci: è molto probabile che la prima verdura carpionata in Piemonte sia stato il pess-coj, il finto pesce fatto con una foglia di cavolo sbollentata e poi arrotolata a sigaro. Non a caso fino a non molto tempo fa a Villafranca d’Asti i pess-coj carpionati venivano chiamati scherzosamente “tinche di Dusino”, con riferimento al paese confinante dove non ci sono pesci.
Nel 1783 le pietanze carpionà sono ormai così popolari e diffuse in Piemonte da entrare a pieno titolo nel Vocabolario Piemontese pubblicato in quell’anno dal medico Maurizio Pipino, che dedica loro due voci: la prima è il verbo “carpioné: si dice del mettere aceto sul pesce fritto, o sopra altri cibi per conservarli”. La seconda è il sostantivo “carpionera: vaso, dove si ripongono e si conservano i pesci marinati detti da noi carpionà”.
La dizione “in carpione” che usiamo ancora oggi, si affermerà tuttavia definitivamente solo verso la fine dell’Ottocento con una piccola rivoluzione lessicale che taglia definitivamente i ponti con il significato originario degli antichi carpionati, e che assegna il nome di Carpione non più all’ingrediente da preparare, ma alla salsa/marinata utilizzata per la sua preparazione. Nel ricettario “Polizia e cucina” l’anonimo autore ne fornisce una lapidaria definizione: “Carpione Aceto, un pocolino d’olio, aglio contuso oppure fettato, sale e foglie di salvia bollano mezzo quarto d’ora. Raffreddati che sono, si versano sul pesce fritto dopo che esso pure è freddo, o sulle erbe che voglionsi in carpione”.
Nello stesso testo si indicano ben otto tipi diversi di verdure con la relativa tecnica di carpionatura: coste, carote, cavolo, foglie di cavolo, fagiolini verdi, melanzane, gambi di spinaci, zucca. Nel corso dell’Ottocento il Carpione si installa definitivamente nelle cucine subalpine dei nobili e dei ricchi. Giovanni Vialardi, capo-cuoco di Casa Reale ne sancisce la definitiva consacrazione, sia pure fornendone una ricetta più elaborata e raffinata.
Veniamo al Novecento. Tra gli Anni ’20 e i ’40, grazie a Amalia Moretti Foggia, che con lo pseudonimo di Petronilla tenne una popolarissima rubrica gastronomica su “La domenica del Corriere”, la definizione “in carpione” arriva alla definitiva notorietà nazionale, anche se il suo impiego continua ad essere prevalentemente nell’Italia nord-occidentale, con l’eccezione della Liguria costantemente fedele al suo Scabeccio.
Ode allo zucchino
Si dica quel che si vuole, ma in Piemonte, e soprattutto in quello “collinare e vignaiolo” dell’Astesana, delle Langhe e del Monferrato, il carpione per eccellenza, il più conosciuto, il più praticato è quello di zucchini. Più che un piatto, è uno degli emblemi della più autentica cucina stagionale contadina, un immutabile scrigno di memorie e affetti. Lo zucchino, che in Piemonte è solo maschio e a chiamarlo “zucchina” si offende, è arrivato dal Messico nel corso del Cinquecento.I piemontesi lo ribattezzano “Cossòt” che si pronuncia “cussòt” o “Sucòt” che si pronuncia “sicòt”.
La ricetta della carpionata contadina di zucchini e uova
Per generazioni di paisan vignaioli è stato il mangiare estivo per eccellenza, il ristoro e il conforto contro la canicola. Leggero, fresco, saporito, fatto totalmente con la roba di casa, dell’orto e del pollaio salvo quel poco d’olio e quel poco di sale. Semplice da cucinare ma impegnativo, ci va pazienza e tempo, è buono e costa poco; e poi lavori una mattinata ma hai risolto per un bel po’ di giorni.
Ci vogliono zucchini dell’orto non troppo piccoli, anzi, meglio se già un po’ grossi. Ti metti lì e li tagli a fettine, o meglio a listarelle rettangolari non più lunghe di sette, otto centimetri, non più alte di tre e non più spesse di uno. Finito di tagliarle, le listarelle si fanno friggere nella padella più larga che c’è in casa. Quando sono cotti a puntino si tolgono, si mettono nella bassilla di maiolica o nel grilèt, un pizzico di sale e si continua con un altro giro fino alla fine.
Nello stesso olio degli zucchini si friggono le uova, una a persona: come il bianco è rappreso si girano e si finiscono di cuocere badando che il rosso resti morbidissimo e cremoso all’interno della sua crosticina. Sarà proprio il tuorlo semiliquido, una volta intaccato nel piatto, a dare agli zucchini quel gusto che nessun altro carpione potrà mai avere. Una volta cotte le uova si dispongono sugli zucchini e si lascia raffreddare.
Nell’olio rimasto nella padella si mette un paio di spicchi d’aglio e si aggiungono dei bei ciuffi di salvia senza staccarne le foglie. Rimessa la padella sul fuoco, appena l’olio sta per friggere si butta l’aceto meglio se bianco. Come l’aceto bolle si mescola per un paio di minuti, non di più, poi si toglie dal fuoco e si lascia raffreddare. Quando è freddo si versa sugli zucchini e sulle uova e si lascia riposare fino all’indomani.
Le 10 regole del carpione tradizionale piemontese
Il carpione ognuno lo fa come crede, come sa o come preferisce; ma per fare il vero e autentico Carpione tradizionale piemontese, consigliamo queste regole.
1 Tutto quello che si carpiona deve essere fritto E fritto in padella con buon olio EVO (Extra vergine d’oliva) adatto alle fritture. Niente olio di semi, niente friggitrici ad aria, niente forno né tantomeno griglia.
2 Piano con l’aceto! Il Carpione è una pietanza piacevolmente agretta, non un sottaceto. L’eccesso di aceto falsa e appiattisce il sapore, svilisce i colori e i profumi.
3 Non va annegato Il Carpione non è una minestra. Le marinate che si usano devo avvolgere, insaporire e accompagnare senza inondare.
4 Più sta lì più diventa buono Ma senza esagerare. Non è una conserva, dopo un po’ di giorni i sapori si afflosciano.
5 Se non è bello non è buono L’estetica del piatto va curata. In passato si usavano le belle carpionere o le bassille di maiolica bianca che in tavola facevano in figurone. Da evitare in ogni caso il vetro e il metallo.
6 Il Carpione ha tre famiglie, e ciascuna sta a casa sua Il Carpione tradizionale piemontese è suddiviso in tre famiglie: quella delle verdure, quella dei pesci e quella delle carni. In tavola possono comparire insieme, e in tal caso si avrà la buona Carpionata multipla come la chiamava l’indimenticabile gastronomo poeta Giovanni Goria; non devono comunque mai essere mescolate nello stesso recipiente. Ogni famiglia di Carpione deve essere cucinata e servita in modo specifico.
7 Le verdure Vi domina incontrastato lo zucchino, ma come si è visto in precedenza ne possono essere membri onorevoli anche altri tipi di verdure, oggi desuete ma che vale la pena riscoprire: eccellenti le carote, le zucche, le melanzane a fette impanate, il pess-coj di cavolo verza. La marinata per le verdure del Carpione tradizionale piemontese è una sola, ed è composta da aceto bianco, spicchi d’aglio tagliati in due o tre parti e salvia in ciuffi. A mio parere no cipolla, no limone, no vino bianco, no spezie di qualsiasi genere. Si prepara rigorosamente nella padella con l’olio che rimane dalla frittura delle verdure; solo nel caso di verdure impanate la padella va pulita e si usa altro olio. Aceto, aglio e salvia si buttano in padella, si portano a bollore e si lasciano fremere vivacemente per un paio di minuti: con cotture troppo prolungate l’aceto perde il forte e vira all’amaro. Un segreto molto praticato dalle cuoche più brave è quello di stemperare nella marinata un bel pizzico di farina bianca durante la cottura, che la rende più avvolgente. Spento il fuoco si lascia raffreddare e si versa sugli ingredienti da carpionare freddo o appena tiepido. I Carpioni di verdure devono riposare almeno dodici ore prima di essere serviti.
8 Carpioni di pesce A quelli più antichi di pesce d’acqua dolce (tinche, barbi, cavedani, carpe etc.) si sono uniti in tempi più recenti, ma con successo, i pesci di mare (boghe, sarde, acciughe, sgombri etc.) oltre naturalmente all’anguilla. I Carpioni di pesce si distinguono da sempre da quelle delle verdure e delle carni per l’abbondante presenza delle cipolle, che la rendono in qualche modo parente delle celebri Sarde in Saor veneziane. Il pesce opportunamente preparato va infarinato, fritto, sgocciolato e riposto a raffreddare. Si affetta una buona quantità di cipolle bianche o dorate (quelle rosse, pur ottime, non vanno bene per incompatibilità cromatica): di solito la quantità di cipolle è pari alla metà del peso del pesce. Le cipolle, affettate non troppo sottilmente, si ripassano in padella con olio spruzzandole con qualche cucchiaio di aceto bianco. Quando cominciano a diventare trasparenti ma sono ancora croccanti, si tolgono dalla padella e si dispongono con garbo sui pesci in attesa. Nella stessa padella si prepara la marinata con aceto bianco, aglio e ciuffi di salvia come per le verdure, e una volta raffreddata si versa nella carpionera con il pesce e le cipolle.
9 Carpioni di carni I carpioni di carne sono stati adottati dalla ristorazione piemontese a partire dagli anni ’50 del Novecento, e rapidamente accolti dalle cucine casalinghe. Si possono preparare con ogni tipo di carne, ma i migliori risultati si hanno con le cotolettine impanate di pollo o coniglio, e con le polpettine di vitello. Le cotolettine, lo dice il nome, devono essere piccole ma non sottili, impanate con l’uovo e il pangrattato: un po’ di burro assieme all’olio di frittura ne migliora il sapore. Le polpettine, grandi come biglie o poco più, si fanno con carne di vitello o di manzo tritata, un po’ di mollica di pane imbevuta nel latte e strizzata e un po’ di parmigiano grattugiato, il tutto legato con tuorlo d’uovo. Infarinate, si friggono con olio e un po’ di burro. Cotolettine e polpettine vanno carpionate in recipienti separati. La marinata si prepara rigorosamente nell’olio di frittura, ponendovi un trito non abbondante di aghi di rosmarino, qualche fogliolina di salvia, timo, maggiorana e poco aglio. Dopo una breve rosolatura si unisce l’aceto bianco, si porta a bollore e si lascia fremere non più di un paio di minuti. Tolta dal fuoco, si lascia intiepidire prima di essere versata sulle carni.
10 il vino Chi dice che il vino con il Carpione non va bene o non conosce il Carpione, o non conosce il vino. E ho detto tutto.